La chiave contro l’obesità - Una scoperta quasi dimenticata può rivoluzionare la perdita di peso?
29 ottobre 2024, Milano
Il dilemma del “mantenere la linea”, ovvero com’è possibile che molte persone che stanno effettivamente attente a ciò che mangiano o che seguono una dieta dopo l’altra non riescano a perdere peso o addirittura mantenerlo? E come è possibile che altri sembrano in grado di mangiare tutto ciò che vogliono senza ingrassare? Una scoperta basata su decenni di ricerche ne porta ora alla luce i possibili motivi.
Correva l’anno 2001 quando il professor Joshua Lederberg, che quasi 50 anni prima aveva ricevuto il premio Nobel per il suo lavoro pionieristico, coniò un termine che sarebbe diventato una parola chiave nel XXI secolo: la parola “microbiota”.
Con questo termine accattivante egli intendeva l’enorme comunità di batteri presenti nel nostro intestino. Fino ad allora, questi batteri non erano mai stati considerati come fonte di salute o causa di disturbi, cosa che Lederberg, invece, era determinato a cambiare. Ma lui stesso probabilmente non immaginava che questa potesse diventare la chiave per milioni di persone per ottenere una figura snella.
In che modo è stata fatta chiarezza negli ultimi 20 anni?
È vero che singoli scienziati avevano condotto ricerche sull’argomento anche in precedenza, cercando di chiarire l’importanza dei batteri per vari aspetti della vita. Tuttavia, a partire dagli anni 2000 l’interesse è aumentato rapidamente, anche perché la diminuzione dei costi del sequenziamento dell’intero genoma (scomposizione del materiale genetico) ha permesso di identificare gli organismi dai campioni senza doverli coltivare, rendendo così possibile adottare un approccio olistico.
Successivamente, sono emersi grandi progetti sul microbiota, che si sono occupati di studiare i batteri che colonizzano il nostro intestino, come lo “Human Microbiome Project” (dal 2007) o l’”American Gut Project” (dal 2012). Attualmente vengono pubblicati ogni anno più di 20.000 articoli scientifici su tale argomento.
Le scoperte di questi studi sono davvero rivoluzionarie; i batteri del nostro intestino non influiscono solo sull’intestino stesso, ma tutto il nostro organismo! Sono state individuate delle connessioni con altri organi, con il cervello e persino con le malattie mentali.
In questo mare di nuove conoscenze, ci sono state alcune aree in cui è stato intravisto un potenziale particolarmente elevato di opzioni terapeutiche. Una di queste è l’obesità, poiché l’idea che potesse esserci un legame tra i batteri dell’intestino e la digestione sembrava particolarmente plausibile.
Ci si è quindi interrogati sul fatto che vi siano persone che praticamente non ingrassano mai e altre che, invece, ingrassano anche solo guardando un pezzo di torta non possa essere dovuto a una diversa composizione del microbiota, cioè a quali batteri colonizzano il nostro intestino.
Quali sono le intuizioni rivoluzionarie?
Questo fu il momento del professore dell’Università della California, Peter J. Turnbaugh. Turnbaugh, esaminò per la prima volta il microbiota intestinale di coppie di gemelli umani. La particolarità delle coppie di partecipanti allo studio era che uno dei gemelli era magro, l’altro in sovrappeso.
Apparve così che i partecipanti allo studio in sovrappeso (non imparentati) presentavano delle somiglianze che li distinguevano persino dai loro gemelli magri. I partecipanti in sovrappeso, infatti, presentavano una varietà e una composizione dei batteri intestinali significativamente ridotta. Il risultato emerso fu che il microbiota, in particolare una ridotta diversità di batteri intestinali, e l’aumento di peso sono collegati! Ma come utilizzare questa scoperta per aiutare le persone in sovrappeso?
Per stabilire se le alterazioni del microbiota potessero effettivamente comportare una variazione del peso, Turnbaugh avviò un esperimento con i topi. Nel suo laboratorio suddivise gli animali in due gruppi. A un gruppo fu impiantato il microbiota intestinale, ovvero l’insieme di batteri intestinali, di topi magri, all’altro gruppo quello di topi in sovrappeso.
Turnbaugh si assicurò poi che entrambi i gruppi ricevessero esattamente gli stessi alimenti, in modo da essere certo che qualsiasi variazione di peso non potesse avere nulla a che fare con la dieta.
Il risultato sorprendente emerso fu che i topi che avevano ricevuto il microbiota di topi in sovrappeso ingrassarono in maniera significativamente maggiore rispetto al gruppo che aveva ricevuto il microbiota di topi magri.
Ma la curiosità di Turnbaugh non si esaurì qui e condusse ulteriori studi. Riuscì a dimostrare che anche il microbiota dei topi che subirono una riduzione dello stomaco era cambiato, in particolare, erano aumentati in modo significativo due generi batterici, i proteobatteri e i verrucomicrobi.
Quando poi impiantò questo microbiota alterato in topi che non avevano subito alcuna una riduzione dello stomaco, questi persero comunque peso in modo significativo, dimostrando che l’ambiente batterico alterato contribuiva concretamente alla perdita di peso dei topi in studio.
Si è riuscito a dimostrare che il microbiota contribuisce in modo determinante al miglioramento di diversi disturbi e sul modo in cui elaboriamo il cibo e, quindi, sull’aumento o perdita di peso. Ma come è possibile che si è riusciti a impiantare i diversi microbioti nei topi? E come si potrebbe applicare tutto ciò agli esseri umani?
Come la scienza sta aprendo nuovi orizzonti e sfruttando millenni di conoscenze
Si è fatto ricorso a un metodo antichissimo, ovvero il trapianto fecale, con l’obiettivo di fornire il microbiota intestinale di un’altra persona. Alla base vi è l’idea che le persone con tendenza all’obesità, come hanno dimostrato gli studi già menzionati, presentano una riduzione del numero e della varietà dei batteri “buoni” nell’intestino. Per alleviare i sintomi, è necessario fornire alla persona un microbiota che abbia un numero sufficiente di batteri “buoni”.
Con questa idea in mente, gli scienziati hanno sfruttato conoscenze millenarie. Già nel IV secolo, infatti, medici come il famoso medico cinese Ge Hong ricorrevano alla somministrazione di un microbiota sano per vari disturbi del tratto gastrointestinale. Tuttavia, la somministrazione non era alquanto piacevole.
Ge Hong curava le personesomministrando loro feci umane per via orale! Più tardi, nel XVI secolo, questa forma di somministrazione verrà presentata con termini più fioriti come “zuppa gialla” o “sciroppo d’oro”, ma si può comunque immaginare il notevole disgusto che si provava al momento dell’ingestione.
Oggi il trapianto fecale, chiamato anche infusione di probiotici umani (IPF), viene eseguito in modo diverso. La somministrazione attualmente avviene attraverso un tubo nello stomaco o nell’intestino tenue, una colonscopia o attraverso speciali capsule (fino a 30 in un giorno), anch’esse non sempre piacevoli.
Gli svantaggi del trapianto fecale – Ci sono alternative?
Purtroppo, il trapianto fecale non è privo di rischi ed è anche costoso a causa del processo descritto sopra. Pertanto, è raramente la terapia di prima scelta, nonostante i benefici. La FDA statunitense, ad esempio, mette in guardia dalla possibile trasmissione di agenti patogeni, malattie e germi multiresistenti dal donatore al ricevente.
Inoltre, il processo risulta sgradevole in qualsiasi forma di somministrazione, sia nell’ambito di una colonscopia (endoscopia intestinale), in cui viene inserito un endoscopio per via rettale nell’intestino, sia sotto forma di capsule (se ne devono ingerire fino a 30 in un giorno assieme ai componenti delle feci).
Pertanto, il trapianto fecale non è un’opzione terapeutica diffusa.
Questo richiamò l’attenzione di team di Monaco di Baviera che si chiese se fosse possibile creare una sorta di trapianto fecale “replicato”, che fornisse esclusivamente batteri intestinali benefici, senza gli svantaggi e i rispettivi rischi.
L’idea, ovvero il trapianto fecale senza svantaggi - Un “microbiota intestinale replicato”
Quest’idea non ha dato un attimo di tregua. Il loro obiettivo era creare una copia naturale del microbiota intestinale umano, attraverso la quale poter fornire un “microbiota replicato” per mezzo di poche capsule. In questo modo si annullano i rischi associati a un trapianto fecale e, non da ultimo, lo si ottiene a un prezzo accessibile.
Tramite ricerche basate sugli studi scientifici esistenti, scoprirono che raramente avevano avuto successo in questo senso. Ma invece di scoraggiarsi, analizzarono ogni dettaglio e formularono 3 ipotesi innovative che avrebbero potuto rendere possibile un trapianto fecale naturale:
1) Bisogna considerare l’elevata varietà dei batteri
Per avvicinarsi all’obiettivo di un “trapianto fecale naturale” è necessario sviluppare un preparato che si avvicini al microbiota umano naturale nella diversità dei suoi batteri rispetto ai prodotti precedenti. L’intestino umano sano è colonizzato da oltre 100 generi di batteri.
Pertantoil preparato deve contenere un’elevata diversità di ceppi, ad esempio almeno 50 ceppi diversi. Si è trattato di una rivoluzione sul mercato, siccome i prodotti disponibili fino ad allora (preparati con batteri vivi) contenevano di solito meno di 20 ceppi, spesso addirittura solo uno!
2) Il dosaggio straordinariamente alto
Una situazione simile si è presentata al team di Monaco nel momento in cui ha esaminato il dosaggio dei probiotici disponibili all’epoca sul mercato. La maggior parte dei preparati utilizzati negli studi aveva un dosaggio di circa 108 – 1010 CFU (unità formanti colonie). Ciò significa che il numero di germi in grado di riprodursi è compreso tra cento milioni e dieci miliardi.
Quello che pochi sanno è che rispetto al numero di batteri presenti nell’intestino umano naturale, si tratta di un numero estremamente ridotto! Oggi si ritiene che nel nostro intestino vivano 10-100 trilioni (!) di batteri, ovvero più batteri delle cellule che compongono l’organismo umano. Pertanto, hanno presunto che sarebbe stato necessario un dosaggio molto più elevato per creare un vero e proprio “trapianto di feci replicato”.
3) La scelta minuziosa dei batteri è fondamentale
Come precedentemente dimostrato , non tutti i batteri sono uguali. Infatti, anche batteri strettamente imparentati possono avere caratteristiche fondamentalmente diverse. Applicato agli esseri umani, il concetto può essere spiegato con l’esempio di due fratelli che possono avere comportamenti sostanzialmente differenti.
Ciò significa che quando si selezionano i ceppi batterici, occorre prestare molta attenzione a quali ceppi batterici specifici si aggiungono a un prodotto. Ad esempio, non è sufficiente scegliere alcuni lattobacilli o bifidobatteri, ma è necessario considerare il ceppo specifico (ad esempio Lactobacillus reuteri LR92).
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Riflorin. Speciale proprio come l’intestino
Da oltre 10 anni, la nostra azienda con sede a Monaco di Baviera, che con il suo marchio Riflorin è una delle aziende leader a livello mondiale sul mercato dei preparati contenenti ceppi batterici, ricerca prodotti in questo campo. Con pubblicazioni su riviste rinomate come “The Lancet”, che sottolineano l’elevato standard scientifico di Riflorin, il marchio ha già ottenuto un grande riconoscimento.
Il team di ricerca del marchio ha sviluppato un nuovo prodotto chiamato Riflorin K53. Questo prodotto doveva essere fondamentalmente diverso dagli altri preparati nei seguenti aspetti:
1) Riflorin K53 contiene, come indica il nome, 53 ceppi batterici diversi e quindi, una varietà di batteri molto maggiore rispetto a qualsiasi altro preparato in commercio conosciuto sul mercato. Ciò significa che finalmente esisteva un prodotto che cercava di imitare la diversità del microbiota umano.
2) Il dosaggio è eccezionalmente elevato: una confezione di Riflorin K53 contiene quasi 600 miliardi di batteri! È stato calcolato che equivale a 30 confezioni di integratori convenzionali. Oppure, se lo si rapporta allo yogurt disponibile in commercio, corrisponde alla quantità di batteri contenuta in ben 25 kg di yogurt.
3) Infine, sono state trascorse innumerevoli ore a selezionare e comporre con cura il prodotto. Il risultato finale è stato un prodotto con 53 ceppi selezionati a mano in modo perfettamente equilibrati. Tra i 53 ceppi c’era anche il Lactobacillus reuteri.
Come assumere Riflorin K53?
Riflorin K53 è pensato per l’assunzione quotidiana. Grazie a questa regolare somministrazione ad alte dosi di una grande varietà di ceppi batterici diversi, si voleva replicare l’effetto degli studi sui topi, con solo una capsula al giorno! Sono tantissime le persone che potrebbero giovare dal concetto di “trapianto fecale naturale” e con una posologia molto semplice.
Ordina subito Riflorin K53
A causa dell’elevata domanda Riflorin K53 non è attualmente disponibile ovunque.
La disponibilità è molto più elevata se si acquista direttamente dal produttore. Vista l’efficacia del prodotto questo è quasi sempre non disponibile in farmacia.
Per venire incontro alle esigenze di tutti i nostri clienti, Riforin K53 viene venduto con pagamento alla consegna e garanzia di soddisfazione.
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